Solvejg Albeverio-Manzoni: sogno e discernimento

07.02.2008

incontro del 7 febbraio 2008


Per il secondo incontro, avvenuto il 7 febbraio 2008, il Museo invita Solvejg Albeverio-Manzoni, artista, poetessa e narratrice ticinese nata ad Arogno che vive e lavora a Bonn. Il suo lavoro tratta in modo profondo tematiche legate alla condizione femminile. Inoltre, molto importante è l'influenza che ha sui suoi lavori e sulle sue poesie l'opera scritta di Sadegh Hedayat, scrittore iraniano, deceduto a Parigi nel 1951.

In questo incontro, l’artista commenta una serie di lavori recenti messi a confronto con alcune opere già nella collezione del Museo, tracciando un discorso che spazia dalla tecnica alle tematiche affrontate.

Partecipa alla discussione Annie Richard, già insegnante all’Università Paris III Sorbonne Nouvelle, specialista di letteratura femminile, della quale alleghiamo un testo critico su Solvejg Albeverio-Manzoni scritto per questa occasione.



Solvejg Albeverio-Manzoni è pittrice e poeta.

In quanto tale ha, come l'aveva Magritte per esempio, il talento per i titoli. L'esposizione a Parigi, nel maggio del 2005, aveva preso in prestito a uno dei suoi disegni il titolo Possibilia femminili [1. Possibilia femminili, 1969, incisione, 24,8 x 16 cm], che designa uno degli aspetti più importanti della sua intera opera: un approccio alla condizione femminile.

Sul modo di lavorare a lei proprio, originale e raro, allo stesso tempo con una sensibilità acuta e una lucidità acerba: sogno e discernimento.

Ed è sotto questo punto di vista che desidero, questa sera, dire qualche parola sui quadri esposti in questo bel luogo, il museo Villa dei Cedri di Bellinzona, in presenza del suo conservatore – il femminile essendo ancora inusuale per questa prestigiosa funzione – Anna Lisa Galizia, che ringrazio sentitamente per avermi accolto tra gli ammiratori di Solvejg Albeverio-Manzoni.

Per oggi, per questo luogo, utilizzerò nuovamente un titolo di Solvejg, quello del suo romanzo: “Il pensatore con il mantello come meteora”.

Un'analogia molto bella che associa strettamente la ricerca della verità alle origini vive del sogno: la meteora è quel corpo celeste luminoso che attraversa il cielo o cade sulla terra. In un passaggio del libro, il filosofo-astrologo che accoglie l'eroina la vede come un “Piccolo principe che dovrebbe fuggire alla tentazione di ritornare sulla sua stella”.

E Solvejg non cede alla tentazione.

In lei il sogno è vero: è quel mondo che attinge nella realtà i rebus della nostra vita individuale e collettiva, le immagini e i fatti carichi di affetto che ne fanno esplodere il senso.

Questi rebus sono difficili da cogliere, come lo è l'esistenza quando i discorsi razionali non vengono a mascherarne il mistero.

Sono lavorati – è la peculiarità del sogno – attraverso la simbolizzazione dove il particolare tende a legarsi al generale. Senz'ombra di dubbio non è la junghiana in Solvejg che mi contraddirà e il cui doppio è secondo me la protagonista de “Il pensatore con il mantello come meteora”, che avvia una psicoanalisi in allegria dopo la sua visita presso:

“il filosofo quasi completo (cioè ancora privo di dottorato), junghiano (diplomato), ma soprattutto appassionato di astrologia”.

Abbiamo notato l'umorismo.

Effettivamente, nessun presupposto teorico viene a soffocare o a orientare le impressioni vissute. Per  l'artista, la sensazione è regina, nel senso primo e pieno della parola, vicino al verbo “sentire” da dove è generato, nella sua doppia accezione originale di “percepire tramite i sensi o l'intelligenza”.

I disegni qui presenti accolgono l'insolito, lo stridente, lo scompiglio, affrontano l'incomprensibile.

È il caso del disegno d'Orsola [2. Orsola sul pavimento di moto browniano aspetta il suo Carpaccio, 1983, tecnica mista, 26 x 17 cm], trasposizione intera di un sogno ispirato lui stesso da un quadro del Carpaccio Il sogno di Sant'Orsola e del suo commento fatto da Michel Serres.

È la conclusione di un tragitto complesso, di strati di diversa natura: un testo critico, un quadro, degli elementi personali e immaginari che si iscrivono nel poema corrispondente, incluso nel romanzo “Il pensatore con il mantello come meteora”.

I sogni di Solvejg Albeverio-Manzoni non perdono mai il loro spessore spaziale e temporale. Il sogno non esplicita il reale, non più di quanto il disegno espliciti il sogno, né il poema espliciti il quadro. Il titolo del poema Orsola su pavimento (di moto) browniano aspetta il suo Carpaccio è sorprendente per la sua connotazione scientifica e sarebbe sbagliato esplicitarlo a sua volta attraverso la vita che Solvejg ha condiviso con suo marito, eminente studioso. No, il titolo scelto traccia con la precisione grafica della scrittura e del disegno (non dimentichiamo la memoria delle parole, il verbo greco originale che concerne l'arte della scrittura e della pittura), la maniera azzardata e necessaria con la quale tutte queste componenti si dispongono e si corrispondono.

Il poema, rispetto al quadro, innesca una razionalizzazione; una narrazione prende forma, la famosa narrazione da sogno lei stessa così incerta, sottomessa a sua volta al movimento browniano.


Il pensatore è all'opera, presente nel poema, e senza dubbio in quelle parole che vanno poco a poco mischiandosi ai quadri, al punto che, necessitando troppo spazio, Solvejg è obbligata a separarle, trattarle per conto proprio, farne dei testi, delle narrazioni, dei romanzi.

“Nella sala da pranzo il pensatore seduto

aspetta,”

dice il poema, ma il pensatore non toglie il suo mantello: lo spettatore o il lettore, anche se critico, non riuscirà mai a gestire il “moto browniano”.

Al contrario, è questo movimento che s'impossessa di chi si avventura nell'universo di Solvejg Albeverio-Manzoni.

 

Desidero citare qui l'estratto di un testo inedito:

Guardo i disegni dell’artista di Angela Romano.

 

Tutta la composizione sembra presa in un movimento di ondeggiamento, i

colori scivolano, si scambiano come particelle chimiche, rinchiuse in un

miscuglio instabile, figure precise su un grigio spento di damasco sudicio.

La bruttezza e il deterioramento fisico giocano su  modalità, in numero

sempre più ridotto, che cessano di essere di tipo fisico per diventare di tipo umano, non più riducibili al campo della morfologia, bensì alla sociologia e alla psicologia. In un disegno sfatto, l’Anima passa – l’Anima che si è data a se stessi.

Una sorta di nulla,  un nulla pessimista, ossia il momento in cui non c’è

più nulla da spiegare, dove tutti gli elementi che formano il quadro sono

così strettamente legati che nessuno se ne stacca.

Sublimazione di una sensibilità corrosiva.

 

Vera opera in nero che rimarrà un work in progress.

Dolorosa metamorfosi senza fine alla ricerca di luce, di coesione per mancanza di coerenza, Gestation infinie, come la evoca l'artista in una conversazione che costituisce l'ultimo fascicolo della rivista Souffles d'Elles.

Il procedimento che le si impone in parallelo, forse legato all'apparizione delle parole nei suoi quadri, consiste nel tagliare, incollare, strappare, sovrapporre. Ne dà un esempio in questa conversazione, Il sonno:

L’ho eseguito nel 1965, nel 2004 l’ho rotto, eliminandone varie parti, poi l’ho

incollato su del cartoncino nero, ho strappato di nuovo il disegno in alcuni punti e, in basso, ho incollato altri cartoncini neri, l’uno sopra l’altro, come strati di roccia.

 

Il suo intento, parola esplosiva, si basa sul ritmo, le ripetizioni o le riprese del gesto creativo stesso, alla base della scrittura e del disegno: strappare, incollare, strappare, incollare come strati di roccia.

Gesto ossessivo di sublimazione, dove scavare e costruire, cancellare ed edificare convergono.

E questo nella sofferenza e nell'esaltazione: il numero di Souffles d'Elles ha sulla copertina un magnifico quadro Il peso delle ali [3. Il peso delle ali, 2005, inchiostro di china, acquarello, collage, 29 x 24 cm] fatto alla maniera della carta strappata; la figura femminile è radicata su un pezzo di carta grezza, dove dei fili e dei resti di radici si mischiano a macchie di colore. Donna nuda che cammina, ma appesantita da scarponi da montagna e da una valigia: le ali sanguinanti sullo sfondo d'inchiostro si spiegano sopra di lei in modo smisurato.

In un disegno recente, Icaro, figura tragica del volo, dal bel profilo greco rivolto verso l'orizzonte, sorge come chiamato sulla pagina quadrettata, strappata e poi incollata sull'impronta della mano dell'artista, prodotta precedentemente dopo un'operazione alla spalla destra che le impediva di disegnare.

È questa mano atrofizzata, della quale è munita l'ala notturna di pipistrello, che completa il disegno e che rinvia al titolo Icaro azzoppato [4. Icaro azzoppato, 2006, matita, acquarello, collage, 24 x 16 cm]?

Le parole “Sono io” restano leggibili all'altezza del suo sguardo. “Sono io, Icaro azzoppato” potrebbe dire “Il pensatore con il mantello come meteora”, elevando e alleggerendo nella loro pesantezza tutte le cappe del mondo.

Non si tratta di liberarsene attraverso il sogno, ma come Icaro di salire verso il cielo appesantiti dal proprio corpo.

In quanto esseri umani, dice Solvejg Albeverio-Manzoni durante l'incontro, siamo anche rinchiusi nel nostro destino, malattie, invecchiamento, lotta per la sopravvivenza, vanità, ingiustizie e decadenza.

Il romanzo è un modo per superare queste chiusure grazie a una certa razionalità, un ordinamento cronologico e logico, ma che Solvejg Albeverio-Manzoni utilizza in una personale maniera complessa, senza appianare i livelli dell'esistenza, individuale o collettiva, sognata o reale. La carcassa color del cielo, apparso nel 2001, alterna il racconto storicamente corretto di Georg Elser, un oscuro falegname svevo che ha cercato di uccidere Hitler all'inizio della seconda guerra mondiale preparando da solo un attentato, e la storia in prima persona di una protagonista senza nome.

Intrighi d'esistenze sotterranee, oscure, rivelate in parte nell'ultimo capitolo intitolato Nella notte, gli invisibili fili, attraverso similitudini biografiche tra l'autrice ed Elser.

È profondamente, attraverso queste fibre, che Solvejg Albeverio-Manzoni capta il dolore schiacciante ovunque imperversi sul nostro pianeta: due progetti in corso concernenti uno la tragedia del popolo palestinese, l'altro la catastrofe di Bhopal, città indiana dove 8000 persone sono decedute in una sola notte a causa di un'esplosione dovuta alla noncuranza di una multinazionale. Due incisioni esposte [10. La guerra del Golfo, 1991, acquaforte, acquatinta, puntasecca, 29 x 14 cm] ci confrontano, l'una con la guerra dei Balcani, l'altra con la guerra in Iraq.

Dall'eco dei destini emana, all'interno dell'universo di Solvejg, una fraternità/sorellanza umana al di là delle frontiere di luogo, genere, condizione sociale o politica.

La sua famiglia è quella degli esclusi, dei perdenti: Georg Elser in testa accanto a Nadja, che lei libera dall'immaginario della tutela di Breton dedicandole il quadro: Pour Nadja, la soeur [5. Pour Nadja, la soeur , 1986, matita, acquarello, matite colorate, 29 x 21,5 cm].

Solvejg vuole nell'incontro Gestation infinie, evocare la parte di vita personale ricollegabile a questo “partito preso”, specialmente il peso durante l'infanzia delle disgrazie familiari e la paura della povertà, su uno sfondo di splendore decaduto, o le situazioni economiche e sociali contemporanee di sudditanza più o meno mascherata.

Ma quello che importa di più è lo sfondo comune esistenziale dell'essere al mondo, come quando, con stupore scoprì, leggendo a venticinque anni lo scrittore iraniano Sadegh Hedayat, che si era suicidato a Parigi nel 1951. La civetta cieca, prefigura senz'ombra di dubbio la doppia vita di Solvejg, contemporaneamente nella realtà e nella fantasmagoria. I disegni ispirati al romanzo di Sadegh Hedayat, Il carro mortuario [6. Il carro mortuario, 1967, inchiostro di china, 46x34 cm] in primo luogo, testimoniano di una rara qualità empatica con il testo.

Se Nadja è la sorella di Solvejg, Sadegh Hedayat è suo fratello, a cui rende regolarmente visita sulla sua tomba al Père Lachaise. Due poemi Appuntamento e Appuntamento stanco si estendono nel tempo.

Nell'ultimo, recentissimo, lo sguardo scivola verso la tomba vicina, il rudere del mausoleo di una regina indiana del XIX secolo, dimenticata e spodestata, venuta in Europa per reclamare agli inglesi il regno del quale era stata spogliata, e morta al suo passaggio a Parigi.

Stravaganza della storia, che le circostanze della scoperta vengono a perfezionare: la contiguità eterna della tomba della regina decaduta e di quella del poeta disperato è come segnalato, durante la visita  di Solvejg, dalla presenza sulla tomba vicina di un corvo nero dalle piume lucenti.

Immagine onirica, coincidenza oggettiva direbbero i surrealisti, ai quali l'opera di Solvejg si apparenta grazie alle forze dell'inconscio.

La regina decaduta, immobilizzata per sempre, è riscattata dall'oblio tramite la presenza dell'uccello: la logica dell'irrazionale rappresenta in un ultimo disegno di Solvejg (ancora senza titolo), una donna-uccello un po’ appesantita, ferita, dea arcaica dalle forme piene come quelle che appaiono sulle pareti rupestri, in parte cancellate. Una macchia rossa di pittura e una libellula incollata le fanno da pendant: l'energia del volo?

Nell'ultima incisione, Ritratto [7. Ritratto, 2007, puntasecca, 17 x 15 cm], il tratto si epura, si alleggerisce, una vaga forma femminile si stende, le braccia alzate: può la parola “liberazione” chiudere il mio testo? O piuttosto solamente, come me lo suggerisce Solvejg, “slancio liberatore”?

 

Annie Richard, febbraio 2008


 


Solvejg Albeverio-Manzoni, incontro del 7 febbraio 2008


Innanzitutto ringrazio Anna Lisa Galizia e il Museo Villa dei Cedri, per l’invito alla Conversazione con l’autore e per avermi dato la possibilità di parlare in questa bella sala, con le mie opere appese alle pareti. E ringrazio la Professoressa Annie Richard per la splendida analisi che ha fatto del mio lavoro.

Riallacciandomi all’esposto di Annie Richard, comincerò leggendo la poesia Orsola su pavimento browniano aspetta il suo Carpaccio.

È una poesia pubblicata nel mio romanzo del 1990 Il pensatore con il mantello come meteora.

Movimento browniano è un termine scientifico, da me distrattamente udito nelle conversazioni di mio marito (che è matematico) con i suoi colleghi. Non sono dotata per le scienze, né mi interessano particolarmente, quel termine mi pareva cercasse di rappresentare il caos, qualcosa confuso in una totale agitazione, senza colore, angoloso.

Nel sogno (infatti questa poesia racconta un mio vero sogno) il moto browniano come pavimento era completamente diverso, di un bellissimo blu, ondoso, morbido, acquatico, una base armonica … sebbene abbastanza instabile.

 

Orsola su pavimento browniano

aspetta il suo Carpaccio

Seduta nel prato aspetto.

Il pensatore con il mantello: verrà,

hanno detto,

ma resterà un giorno soltanto.

Mi creo macchinose discolpe

a quel rimanere seduta.

Dovrei riordinare, preparare i bagagli, cucinare.

Invece aspetto e

non compare.

Torno a casa.

Nella sala da pranzo il pensatore seduto

aspetta.

Lui aspettava me, massaia. Crampo

allo stomaco dall'emozione e felicità e orgoglio.

 

Carne,

chiede carne per i suoi gatti. Carne tritata.

Accudisco, ancella stanca ma zelante.

E sherry al miele, sempre per i gatti,

e anche il disegno da incorniciare.

Foglio strappato dal catalogo «Aux dames de France»,

carta giallastra, indurita dagli anni.

Odore dei bauli in solaio, nella villa cadente.

 

Orsola seduta aspetta. Azzurro intenso del pavimento.

Il mirto sceso

dalla finestra ad ogiva,

finito sotto il tavolo, forse

catafalco rovesciato?

Orsola aspetta. Nozze o martirio.

Il pensatore colorò d'azzurro il movimento browniano.

Non appare l'angelo messaggero.

Il pavimento browniano, base insicura

ma non opaca.

La nuca duole, taglierò il passe-partout

cercando di non tremare

e metterò sotto vetro il disegno.

 

Un tema per me molto importante, di cui Annie Richard ha pure parlato, è Sadegh Hedayat. Lo scrittore iraniano è stato una figura ispiratrice durante tutta la mia vita. Scopersi La civetta cieca su un tavolo di libri ribassati, a Zurigo, nella libreria accanto al Caffè Select, avevo circa 25 anni.

Fu una rivelazione. Lasciandomi guidare da quella storia eseguii disegni e incisioni, dal 1965 saranno stati almeno una trentina, e alcuni sono proprio esposti qui.

Il libro portava poche informazioni biografiche sull’autore e, per anni, non appresi altro su di lui.

Molto più tardi, erano gli anni Ottanta, nella libreria La Hune di Parigi vidi i suoi libri e, nel 1989 la poetessa Gina Labriola mi accompagnò sulla sua tomba, nel reparto musulmano del cimitero Père Lachaise.

Il Père Lachaise è il cimitero delle celebrità. Sadegh, povero e sconosciuto, suicidatosi nel 1951 (a quarantotto anni), vi fu seppellito solo grazie a membri della comunità musulmana che pagarono affinché la salma restasse in quel luogo prestigioso.

La notte, dopo la visita alla tomba, un insetto mi deve aver punta nel polso, e il giorno seguente, dalla minuscola ferita, sul mio braccio partiva il tratto aranciato della setticemia, che piano piano si estendeva verso l’incavatura del gomito e proseguiva in direzione dell’ascella …

Mi resi conto del pericolo, corsi subito dal medico, il quale con un paio di iniezioni riuscì a fermare l’avvelenamento del sangue.

Quest’episodio mi turbò molto, da allora Sadegh non fu più solo ispiratore di immagini, ma anche di testi, il primo fu proprio la poesia Appuntamento.

 

Appuntamento

Dal soffitto, ripetitiva,

la danza di Anítra. Bollicine fluttuanti

nel tremolio di fiammelle

forma caput mortuum mordicchia alghe,

le branchie volteggiano,

tre camerieri in fila pronti

a volteggiare

su mattonelle cosparse di segatura.

Aspetta! passano automobili,

tram, un tamburo scandisce il tempo.

Verso scale invocate, sfruttate,

color rosso pompeiano, quasi

sangue di bue,

correremo per lasciarci incanalare.

Dal cortile interno nella rue des Carmes

- la lamiera

di notte si metteva a respirare –

strisciavano

ragni a succhiarci sangue dal polso,

forse per via

della tomba come piramide sghemba,

sotto il ciliegio che era in fiore,

gonfio di vita, nutrito,

concimato dal tuo corpo.

Immobili

attendiamo un vibrare d’occhi sbarrati,

quando

civette cieche si accoppieranno con pipistrelli.

 

E c’è pure l’ispirazione indiretta: nel parco del castello di Cerisy-la-Salle, dove mi trovavo per un Colloquio sul tema Merveilleux et surréalisme (nel volume con gli Atti del Colloquio c’è una mia Mélusine sulla copertina), mi imbattei in una civetta (o magari un gufo?). Dall’episodio nacque un disegno, che schizzai dapprima a matita su un foglio del programma. Nei mesi successivi, lo incollai su un cartoncino nero, che poi strappai, e di nuovo incollai su diversi strati di carta, aggiungendo altre tecniche. Una realizzazione piuttosto laboriosa, il quadro Il brivido cieco della civetta [8. Il brivido cieco della civetta, 1999-2005-2008, matita, matite colorate, acquarello, collage, 35 x 23 cm], iniziato nel 1999 e su cui ho lavorato nel 2005 e nel 2008, e non sono ancora sicura che sia proprio finito del tutto.

Sull’incontro nel parco scrissi pure un testo, entrato nel mio romanzo La carcassa color del cielo del 2001.

A proposito del Centro Culturale Internazionale di Cerisy-la-Salle: questo luogo in Normandia è per me particolarmente importante, infatti è lì che feci la conoscenza di Annie Richard.

Dalla mia prima visita al Père Lachaise nel 1989, ad ogni soggiorno a Parigi (ci vado una o due volte l’anno) porto fiori sulla tomba di Sadegh.

Nella poesia del 2007, Appuntamento stanco, parlo di questo mio gesto rituale che porta ormai in sé una certa stanchezza – un po’ come in un vecchio matrimonio – eppure qualcosa mi spinge, non posso tradire e rinunciare alla mia visita.

 

Appuntamento stanco

Una volta mi perdevo

recandomi sulla tua tomba,

facevo incontri straordinari

ci trascorrevo pomeriggi,

adesso è come un vecchio matrimonio:

fra due métro

i fiori dal fiorista all’angolo,

passando dal

viale che recinge il cimitero

a passo spedito, senza

lasciarmi distrarre da altri viali,

fino all’indicazione: crematorio

poi, a destra, alla cappella del Lieutenant Rapilly

morto in battaglia a poco più di vent’anni

− sul bassorilievo, un giovane pensieroso

con il petto coperto di medaglie −

novanta gradi a sinistra

alla tomba di Proust, di fronte, oltre la siepe

la sezione musulmana. Accanto al

mausoleo della regina di Oudh*,

eretto a metà dell’Ottocento

di cui resta solo lo zoccolo

− porfido incorniciato da blocchi di granito −

sotto il ciliegio,

la piramide sghemba: tu sei lì sotto.

Depongo in un angolo il mio vaso

fiori blu

non convolvoli − ma molto simili −

sul marmo, una rosa appassita

e alcuni vasi che contengono

rametti ormai secchi, non oso

buttarli via,

anche tre bacinelle di forme diverse

tutte con viole di ceramica

funeree, di dubbio gusto, certamente costose

− chissà chi le porta?

  e perché tre?

un pizzico di vaga gelosia

un saluto rapido

un’occhiata

al grosso corvo nero dalle penne lucenti

intento a becchettare fra le lastre

che coprono la regina Malka.

 

*Nel 19. Sec. il regno musulmano di Oudh (nell’India settentrionale) fu annesso all’impero dai colonizzatori britannici. Malka, la regina deposta, si mise in viaggio per esigerne la restituzione alla regina Vittoria. Ma non sopportò gli strapazzi del viaggio, giunse in Francia gravemente malata e qui morì.


ALG

Forse tutte le persone presenti non conoscono il suo percorso e per questo motivo vorrei invitarla a farci capire come sia giunta a formulare un linguaggio nel quale si mescolano una forte componente psicanalitica e una riflessione su molte tematiche del femminile.

 

SAM

È una domanda difficile. Come posso farlo in breve…

Mi è naturale lavorare su tematiche del femminile perché mi concernono come donna. Ma esse sono connesse con altre problematiche, come quelle della vecchiaia, del vivere in un mondo pieno di ingiustizie e sofferenza, con la distruzione progressiva dell’ambiente, in questo mondo dove mi trovo in una situazione relativamente privilegiata. Scrivo e dipingo rispondendo ad un’urgenza di espressione che c’è dentro di me. Purtroppo costantemente in conflitto con il quotidiano invasivo che ruba tempo ed energie. Ad ogni modo, il mio lavorare è spontaneo e non riducibile a nessuna teoria. Vorrei riuscire a rappresentare la complessità del vivere, nelle sue mille sfaccettature, contraddizioni, angosce…

 

ALG

C'è una genesi, un percorso che l'ha portata a formulare le opere che vediamo qui e che la contraddistinguono?

 

SAM

Probabilmente un percorso c’è, ma non ne sono cosciente, penso lo possa individuare meglio qualcuno al di fuori piuttosto che non io stessa. Ad ogni modo non credo di aver coscientemente cercato strade, percorsi…

 

ALG

Mi sembra anche molto importante la relazione tra immagine e testo. Ci sono periodi in cui prevalgono le immagini o i testi?

 

SAM

Anche qui, non c’è nessuna regola. A volte soprattutto scrivo oppure piuttosto disegno o dipingo, o invece posso lavorare in ambedue i campi contemporaneamente, e talvolta non faccio né l’uno né l’altro.

Una cosa certa e costante in tutta la mia vita, è che lavoro in modo molto diluito nel tempo, sono lentissima, mi sento un po’ simile agli animali che ruminano.

Inoltre sono incapace di fare qualcosa di creativo entro una data imposta.

 

ALG

Vediamo che ci sono delle incisioni, degli acquarelli, forse potrebbe dirci qualche cosa sulla scelta della tecnica.

 

SAM

L’incisione, soprattutto la puntasecca, è la tecnica che per la sua essenzialità mi ha sempre affascinata. Purtroppo, con la vecchiaia c’è il corpo che si frappone: la mano non è più così sicura, gli occhi vedono meno bene, e si stancano subito.

Con l’acquerello (che per lo più uso in modo denso, con sovrapposizioni, come fosse tempera) mi piace la possibilità di giocare con i colori.

Negli ultimi venti anni lavoro sempre più strappando. Strappo carta, cartoncini, carta velina, ritagli di giornali, fogli di quaderno, incollo, sovrappongo, e ci sono parti invece disegnate. Queste parti possono essere anche pezzi rotti di miei vecchi disegni, o anche disegni nuovi che, appena eseguiti, rompo, stiracchio, incollo.

 

ALG

Sulla genesi delle sue creazioni, abbiamo visto, grazie all'introduzione di Annie Richard, che la fonte può essere un sogno, una visione onirica, poi ci può essere anche l'ispirazione letteraria. Esistono altre cose che le sono particolarmente care, degli spunti che le permettono di creare un'immagine, giungendo all'intensità delle opere esposte?

 

SAM

Oltre a sogni e a temi legati a miei sentimenti o a ispirazioni letterarie, importanti per me sono i temi sociali, ed anche la mitologia. Nei miei anni giovani e nei tre anni trascorsi a Princeton (approfittando delle straordinarie biblioteche di quella città universitaria) ho letto moltissimo sulle varie mitologie, su movimenti religiosi medioevali, eresie, simbologia dei colori, alchimia, persecuzioni (ad esempio i Cagots, nella Francia del sud). Tutto questo è rimasto dentro di me, e talvolta per un’associazione, o magari per un legame inconscio, c’è qualcosa che esce.

Ad ogni modo, non mi lascio influenzare dai bei paesaggi, un episodio buffo lo dimostra. Mi trovavo nel giardino di un albergo a Bandol, sulla Costa Azzurra, di fronte al golfo, era una giornata magnifica. All’ombra degli antichi alberi, nel profumo dei fiori, stavo disegnando con matite e matite colorate. Un’ospite dell’albergo che mi osservava da tempo, si è avvicinata tutta sorridente per vedere la mia opera … il suo sorriso si è subito raggelato, mi ha guardato male – probabilmente mi giudicava matta – ha mormorato qualcosa, e si è girata tornando al suo tavolino.

Perché, non la bella vista sul golfo mi aveva ispirato, ma il dietro del giardino, con un pezzo di cancello rotto in cima alla scaletta diroccata.

Il quadro, sul quale lavorai con gli acquarelli dopo Bandol, è intitolato Ritratto di un incontro [9. Ritratto di un incontro, 1985, matita, matite colorate, acquarello, 33 x 23 cm].

Questo quadro è legato (ma senza esserne un’illustrazione) alla poesia Una Medusa morta, del 1987.

 

(Dal pubblico)

Può dirci qualcosa riguardo al cipresso?

 

SAM

Ne La civetta cieca, il cipresso è come un punto centrale attorno a cui scorrono i personaggi. La trama del romanzo, pervasa di visioni spaventose, è impossibile da riassumere, anche perché i personaggi si trasformano, tutto oscilla fra sogno, realtà, incubo. Infatti c’è chi dice che Hedayat l’abbia scritto sotto l’effetto dell’oppio. Nei lavori qui esposti ho disegnato spesso la fanciulla, che però è anche la madre, la danzatrice, la sgualdrina. Un personaggio molto importante è pure il vecchio curvo accucciato avvolto in un lacero aba giallo e con un turbante in testa, e c’è anche il serpente, un cobra.

 

ALG

Tra i presenti, qualcuno ha notato una certa somiglianza con il lavoro di Martini…

 

SAM

Forse, ad ogni modo mi fa molto piacere. Non conoscevo Martini, l’ho scoperto nell’esposizione del 2001 Figurazioni ideali. M.K. Ciurlionis, Alberto Martini, Albert Trachsel, proprio qui a Villa dei Cedri, sono stata subito affascinata dal suo magnifico tratto, dalla maestria nel giocare col contrasto chiaro/scuro e dalla forza espressiva dei suoi lavori. Mi rallegrai perciò moltissimo, quando, nel 2004, fui invitata a partecipare alla mostra Omaggio a Alberto Martini a Villa dei Cedri.

 

ALG

Parliamo della sua biografia. Lei nasce come disegnatrice. In seguito il suo universo si costruisce su rotture e incontri...

 

SAM

Secondo una mia teoria giovanile (del tutto, idiota, retrospettivamente!) secondo la quale, nella vita non servono studi regolari, perché diplomi e scartoffie varie fanno solo perdere tempo … ho interrotto il liceo prima della maturità …

Essendo molto interessata al teatro (avrei voluto diventare scenografa e costumista) ho studiato disegno tessile poiché mi illudevo che, come disegnatrice tessile, avrei avuto contatti e possibilità di avvicinarmi al mondo del teatro!

Dopo la scuola, a Como, lavorai nell’atelier di disegno tessile di Carla Badiali nella stessa città, un lavoro piacevole in un atelier prestigioso, purtroppo lo stipendio non permetteva neppure una vita modestissima …

Così mi trasferii a Zurigo, dove durante tre anni fui impiegata in uno studio di disegni per tende e tappezzerie. Non come creatrice, ma come esecutrice subalterna: a partire da uno schizzo dello chef, dovevo ripetere esattamente il motivo alcune volte, perché il cliente potesse vedere sulla carta come sarebbero state tenda o tappezzeria stampate.

Un’attività difficile, stancante e noiosissima.

Sempre più mi rendevo conto di aver scelto la professione sbagliata!

Per sopravvivere ho poi fatto per un breve periodo la disegnatrice di moda.

Successivamente, nella sede svizzera di una ditta scandinava produttrice di impianti e pompe per cartiere, sempre a Zurigo, venni impiegata come disegnatrice tecnica, grafica e tappabuchi in ufficio. Un posto di lavoro piuttosto gradevole, che mi permetteva anche di frequentare corsi di incisione e anatomia alla Kunstgewerbeschule.

In questa ditta, ho anche eseguito l’unico lavoro veramente entusiasmante di tutta la mia carriera professionale. Per un film pubblicitario della centrale svedese (che avrebbe mostrato il funzionamento di una cartiera) durante alcuni mesi, partendo da disegni tecnici, dovevo disegnare i lucidi nei quali, in modo divertente e giocando coi colori, stilizzavo la trasformazione della cellulosa in carta.

Un professionista del film d’animazione aveva poi fotografato questi miei lucidi per creare le successive fasi del movimento.

Fu un film molto ben riuscito che ebbe grande successo.

La mia formazione artistica poco ortodossa è stata spezzettata, anche perché ho vissuto in diversi paesi.

Le due figure di insegnanti, dai quali credo di aver imparato di più, sono state: Chrix Dahl, un incisore molto noto in Scandinavia, di cui frequentai la classe alla Statenshåndverks-og Kunstskole di Oslo. E Hans-Jürgen Schlieker, un importante pittore del movimento informale, che dirigeva il dipartimento di Arti Visive al Musisches Zentrum dell’Università di Bochum. Qui, oltre al gruppo degli incisori, frequentavo quello di disegno dal vivo. Partecipai pure a parecchie escursioni (una volta all’anno, tutti insieme, per una decina di giorni ci si trasferiva in campagna, dove, durante il giorno si dipingeva, e la sera, le opere di ognuno venivano commentate criticamente da Schlieker e dagli altri partecipanti).

Quando vivevo a Zurigo, ho anche collaborato alla Radio della Svizzera Italiana, scrivendo su temi legati alla condizione femminile per l’Ora della donna.

Successivamente, una volta al mese, per l’Ora serena (la trasmissione per i malati), con il contributo Ispirazione e musica, mettevo a confronto il testo letterario con il testo musicale che ne era stato ispirato.

E, negli anni in cui abitavamo a Oslo, adattai il tema al luogo, così il mio contributo si volse alla presentazione (con traduzione di brevi estratti di testi originali) delle saghe dei vari paesi scandinavi.

Durante il soggiorno negli Stati Uniti, pure per la Radio della Svizzera Italiana, avevo invece scritto due lunghe trasmissioni per un’emissione culturale.

La prima, sulla poesia contemporanea afro-americana, venne trasmessa. La seconda, sui movimenti di liberazione afro-americani (erano gli anni della guerra del Vietnam e delle rivolte nei ghetti neri) fu dapprima rinviata, poi di nuovo rinviata … infine mi si comunicò che era stato cambiato qualcosa nel programma, per cui c’erano temi diversi, e così non fu mai trasmessa (probabilmente, la simpatia per i Black Panthers che si sentiva nel mio testo non era stata apprezzata).

Per la frustrazione, la mia mente ha cancellato il titolo di quella emissione…

 

ALG

E il rapporto con la psicoanalisi?

 

SAM

Nei dieci anni in cui ho vissuto a Zurigo frequentavo molti studenti di psicologia, altri amici erano psicanalisti, penso che nella Zurigo di quell’epoca ci fosse una delle più alte concentrazioni al mondo di psicanalisti e affini.

In quel periodo, ovviamente, ho avuto anch’io la mia brava psicanalisi.

Grazie a raccomandazioni di amici e soprattutto ai miei disegni (che avevo dovuto mostrargli per essere accettata come paziente) sono entrata in analisi (durante tre anni) con uno psichiatra molto bravo, Heinrich Fierz, il quale aveva fatto la propria Lehranalyse con Jung stesso.

 

ALG

Gli anni di analisi hanno aperto una porta sulla creatività? Oppure in fondo c'era già, e hanno solo portato a una maggiore consapevolezza?

 

SAM

L’analista era un uomo estremamente colto, ho imparato molto da lui. All’inizio della seduta raccontavo sogni, e poi lui parlava, ed era un po’ come se assistessi a una conferenza privata … Quando, nel 1970, ho lasciato Zurigo, e, con mio marito ci siamo trasferiti dapprima a Princeton poi a Oslo, l’analista mi aveva proposto di andarlo a trovare quanto tornavo in Svizzera (come poi feci, circa una volta all’anno), non più come paziente, ma come un’amica.

Durante quelle poche ore di incontri credo che, riguardo all’analisi, ci fu un maggior sviluppo che nei tre anni di trattamento.

Jung come persona non mi è mai stato particolarmente simpatico, e nonostante a quell’epoca fossi una lettrice appassionata, non so perché, ma non ho mai provato il bisogno di leggere sue opere teoriche.

Probabilmente l’analisi ha influito sulla mia creatività, anche se però ho potuto cominciare un’analisi con Fierz proprio a causa della creatività che lui vedeva nei miei disegni…

Ad ogni modo penso che, a livello culturale, l’analisi sia stata importante, ho imparato molto sulle varie mitologie, e soprattutto ho acquisito la capacità di raffrontare le culture, sfuggendo ad una visione centrata solo sul nostro mondo occidentale.

Nel libro Il pensatore con il mantello come meteora uno dei temi è proprio il mio rapporto con l’analisi e l’analista.

 

(Bellinzona, 7 febbraio 2008)

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